Alberto Mattia Martini
Critico d’arte
Secondo la religione Induista, il ciclo dell’umanità terrestre, detto anche Manvantara si divide in quattro età o periodi: Età dell’Oro o della verità definito primo periodo, nel quale la saggezza pervade a tal punto gli uomini, che essi sono veri e propri Dei. Il secondo periodo è l’Età dell’Argento, età dei fuochi o dei riti, il terzo periodo è l’Età del Bronzo, dell’indecisione e per finire l’Età del Ferro o dei conflitti. Quest’ultima è l’età nella quale ci troviamo attualmente, che dura da seimila anni e quindi antecedente a tutte le date conosciute dall’uomo, precedente a quella che noi definiamo storia.
Possiamo quindi affermare che secondo questa visione, assistiamo ad una vera e propria involuzione dell’uomo, della sua conoscenza, dei poteri, della sensibilità che alla sua origine lo caratterizzavano. Un periodo che rispecchia perfettamente quello che stiamo vivendo oggi: di degrado economico e morale, dove la priorità è sempre più l’apparire, la “materia a discapito dell’essenza”.
Il pessimismo tuttavia non deve sovrastare e non può sopraffare la natura umana, l’originaria spiritualità, che ci contraddistingue; la conoscenza primordiale si è solo “nascosta”. Come ci ricorda infatti la storia del mito, qualcosa è andato perduto, l’equilibrio pare essersi rotto, ma non si deve disperare, anzi tale perdita, raccontano i miti, deve divenire l’elemento e l’obbiettivo della nostra ricerca, per poi una volta ritrovato, essere l’inizio del nuovo ciclo, in sintonia con ogni cosa del creato.
Prima di ogni cambiamento radicale la psicanalisi ci insegna, che si dovrebbe dare libero flusso ai pensieri, all’inconscio, provare ad addentrarsi nell’intimo umano. Questo è quello che cerca di mettere in atto anche Nicoletta Bagatti con al sua ricerca artistica, vuole mettere In Nude se stessa, la propria intima sensibilità, per poter così indagare e addentrarsi nell’animo umano. Il fine che la Bagatti si è prefissata è un compito impegnativo, direi arduo, che richiede determinazione, conoscenza dello spirituale e sensibilità indagatrice, entrambe indirizzate ad analizzare le più piccole sfumature fisiche e caratteriali.
Sarebbe facile e ovvio, osservando ai lavori dell’artista parmigiana, fare riferimenti all’opera di Michelangelo, ai così detti corpi michelangioleschi, che certamente hanno avuto ed hanno tutt’ora un ruolo determinante sulla formazione e sulla ricerca di Nicoletta. Il corpo ciò nonostante qui è un mezzo, un “pretesto” per approfondire e sottolineare come nell’età contemporanea, per l’uomo si sta affermando l’imprescindibile necessità di comprendere e conoscere da dove esso proviene, la memoria del sé. L’arte certamente possiede nelle sue viscere, la facoltà di strappare allo scorrere e all’oblio del tempo la luce della vita eterna.
Seneca afferma che la gloria è l’ombra della virtù e proprio come l’ombra alcune volte si mostra innanzi a noi, a volte ci segue. Non penso che la finalità artistica di Nicoletta Bagatti sia la mera gloria, anzi osservando il suo lavoro e confrontandomi con lei, emerge una personalità indubbiamente determinata, ma mossa nel suo vortice creativo prevalentemente da un’esigenza interiore, da un desiderio espressivo, prerogativa delle persone dotate di delicata sensibilità, che spesso preferiscono restare in ombra, piuttosto che concedersi alle luci della ribalta.
Ombra che è la genesi del lavoro della Bagatti, l’anima dalla quale piano piano prende forma quello che diverrà il cuore pulsante del soggetto rappresentato.
Il supporto sul quale l’idea diverrà reale è il legno, la tavola, sulla quale l’artista stende l’impasto, precedentemente ottenuto con polvere di gesso e pigmento ocra. Durante la fase di asciugatura, dal materiale emergono, macchie, ombre, che agli occhi di Nicoletta assumono sembianze umane; membra, porzioni di corpi, che nel loro continuo e irrefrenabile movimento si contorcono, si dimenano cercando di emergere dal nulla in direzione della luce. Ecco che l’artista coglie l’attimo e blocca l’istante nell’eterno avvalendosi del carboncino, con estrema rapidità delinea l’immagine reale o sognata, per poi in un secondo tempo intervenire con il fascino degli insostituibili colori ad olio.
L’immaginazione, la fantasia, la capacità di vedere, vagheggiare figure, dove agli occhi dell’altro non appare nulla, è sempre stata una prerogativa di Nicoletta; un modo per lasciare fluire libera la fantasia e provare addentrasi in un livello di comprensione dell’animo umano, che superi la pelle, insinuandosi nelle oscure profondità della mente.
L’intero creato, e quindi l’uomo sono ancora un mistero, che la scienza secondo giusta ragione cerca di risolvere e spiegare. Vi è tuttavia un’altra possibilità, che la scienza non fornisce e cioè poter vedere sia il visibile, che l’invisibile: questa è la forza creatrice, il potere della fantasia, dell’immaginazione, dote riservata all’arte.
Queste mani, questi piedi, queste busti non sono un esercizio virtuoso accademico, ma materia umana, anzi sentimenti, idee, desideri, emersi dalla psiche in cerca di liberazione dalle angosce umane, ma anche dalla mediocrità e dall’egoismo.
La centralità spesso marcata e volutamente posta in primo piano della mano e del piede, riconduce concettualmente alle tele di Egon Schiele, al significato che la mano assume in cerca di un contatto e scambio con il mondo circostante.
La mano, primo gesto con cui ci proponiamo, ci presentiamo a chi non conosciamo, diviene punto di partenza per una ricerca nell’intimità, intesa come analisi dell’universo privato, del segreto che la figura umana porta con sè, indagandone timori, angosce e paure.
La mano è anche il mezzo con il quale l’artista si esprime, si racconta direttamente, la gestualità che anima il rapporto tra intelletto ed emozioni, elemento, che intercede mediando la relazione tra fisicità e sentimento.
Queste opere quindi sono le risposte di Nicoletta Bagatti al mondo odierno, verso il quale pur avendo l’obbligo di riconoscergli innegabili ed evidenti sviluppi sociali e tecnologici, altrettanto necessario è prendere atto e rifiutare fermamente la volontà di ridurre l’essere umano a semplice produttore e consumatore, uniformandone scelte e comportamenti.
Cosa allora meglio del cubo può rappresentare, anche per il suo forte significato di fissità, la materialità; quell’esistere come solido e non spirituale che gli consente di innalzarsi a immagine dell’eternità.
Inaspettatamente ed improvvisamente l’immagine diviene tridimensionale, “contagia” la figura geometrica del cubo, avvolgendone forma e dimensione, invitandoci ad abbandonare tutto ciò che di superfluo accompagna la nostra quotidianità.
La brama della conoscenza, ci spinge ad interrogarci su cosa si nasconde all’interno di questi cubi; un insieme tra curiosità e inquietudine, che produce nella nostra mente fascianti elucubrazioni. Il senso di vuoto, di disorientamento, ci conduce paradossalmente in un luogo dove alla vacuità materiale si è sostituita la presenza umana.
Giulio Gallo
Dottore in storia e critica sociale dell’arte.
Ciò che si trova alla base della maieutica socratica, è un pensiero che oggi, a distanza di 25 secoli, ancora accompagna e, misteriosamente, non trova risposta definitiva nello spettro filosofico. Se per estetica si definisce la scienza della conoscenza sensibile, quel rendere partecipi i nostri sensi in maniera omogenea di fronte a un dipinto, a un viso, a un pensiero che stimola la nostra naturale predisposizione all’emozione, allora non possiamo fare altro che confrontarci con tutto ciò che non conosciamo, che circonda la nostra cornice cognitiva e ci fa vivere in un mondo quasi parallelo, una caverna Platonica in 3D nella quale quotidianamente viviamo, ben consapevoli di ciò che ci attende all’esterno.
Ma ancor più consci che le nostre certezze, le nostre sicurezze, imposte da un’effervescenza collettiva generale ci garantiscono il non pensare, il non riflettere, e di conseguenza il non porci domande.
Per questo che l’essere di fronte ad un dipinto che in prima battuta sembra esprimere ciò che noi, esteriormente, definiamo brutto, ci deve, ci obbliga, ci spinge a riflettere su ciò che il pensiero afferma. E cioè che anestetico è l’antitesi di estetico, l’addormentamento dei sensi.
E di conseguenza il pensiero estetico non può far altro che risvegliare in noi quel senso di appartenenza alla vita che soltanto un’opera d’arte, in quanto tale, può risvegliare.
PATRIZIA BARLETTANI
Gli occhi di Nicoletta.
Quando penso a Nicoletta subito mi vengono in mente i suoi occhi, scuri, profondi, occhi brillanti di intelligenza e curiosità.
Occhi che sanno guardare e scoprire mondi nascosti nei particolari più semplici , negli oggetti più consueti.
E attraverso i suoi occhi nasce la sua pittura che ci racconta delle piccole gemme in un sasso di fiume, in un frutto, in un oggetto di uso comune, oppure, come in questa personale, si sofferma ad indagare il genio di Picasso, attraverso i suoi simboli e le sue icone.
Mi piace la sua pittura minuziosa e attenta, mi piace il suo giocare con le cose, mi piace la freschezza che riesce a imprimere nella tavolae che rispecchia il suo animo, ma soprattutto mi piace la sua voglia di confrontarsi e di cercare dentro di se nuove forme di espressione senza alcuna paura di mettersi, ogni volta in gioco.
Vola libera Nicoletta e non perdere mai la tua voglia di giocare.
MARILENA BURATTI
Nicoletta, un sorriso luminoso!
Amante delle cose semplici benche’ molto critica verso se stessa e sempre in discussione con il suo io.
Un vulcano in continuo movimento ma con una eruzione controllata e finalizzata ad uno sfogo continuo, necessario a dare al magma che la tormenta senza tregua.
Le sue opere sono la testimonianza di questa ricerca, cicli chiusi di momenti ben precisi di studio e di confronto anche con personaggi con fisionomia propria.
Questo studio/incontro con il grande Picasso, l’ha portata a cercare una risposta al continuo chiedersi quale sia lo scopo della sua ostinazione al dipingere…si può dipingere solo per il piacere di farlo o c’è dell’altro in fondo alla sua anima?
Il suo è un cammino di cui non si vede la fine… semplicemente perché non c’è.